venerdì 12 aprile 2013

Il Salto



Il salto
Tempo fa andava molto di moda nelle aziende fare corsi odiosi che invitavano i colleghi a collaborare, comunicare e a fidarsi gli uni degli altri. 
 Gli esercizi e gli argomenti durante il corso, erano tutti volti a farti guardare quel collega che vedevi tutte le mattine mentre girava stancamente lo stecchetto nel bicchierino del caffè, quasi come uno di famiglia e non  come un indolente rompi scatole sempre pronto ad affibbiarti il lavoro che sarebbe toccato fare a lui.
Qualcuno mi ha raccontato di aver partecipato  ad una di queste lezioni in cui l’esame finale consisteva in un esercizio in cui stando in piedi, e dando le spalle ad un collega, dovevi lasciarti cadere indietro e farti prendere da lui. Ovviamente io sarei stata bocciata a questo corso perché ho sempre ritenuto che solo all’interno della propria cerchia familiare strettissima, eventualmente allargata ad alcuni amici intimi ci si possa fidare così ciecamente.
Mia nonna da bambina si trovò a fare il salto per amore di suo fratello. E che salto. Ma lei fu promossa a pieni voti.
Doveva avere circa sei anni, quindi era l’inizio degli anni trenta. All’epoca le bambine portavano quegli enormi fiocchi di stoffa sulla testa, un biglietto del tram costava una lira, la macchina nuova era la Balilla e Beniamino Gigli cantava “non ti scordar di me”.
La seconda guerra mondiale non c’era ancora stata e nemmeno tutte le atrocità che si è portata dietro. Il mondo, forse era un po’ migliore di quello che sarebbe diventato di lì a poco.
Maria andava molto d’accordo con Pietro, lui per lei  era il fratello maggiore, non solo era maschio, ma era più grande di lei di quattro anni, quindi nella sua testa qualunque cosa lui le dicesse era oro colato.
Un giorno Pietro volle tirare uno scherzetto a Maria. Anche lui era un bambino e non poteva immaginare che lo scherzo sarebbe potuto trasformarsi in una tragedia. Pietro voleva solo mettere alla prova la fedeltà di Maria.
Nonna mi raccontò mille volte questa storia, ma non scese mai nei dettagli tanto quanto farò io ora nel racconto. Per questa ragione, molto di quanto scriverò è solo frutto della mia immaginazione, mi sono solo messa nei panni  di una bambina piccola che compie un gesto dal quale solo con la fantasia dei bambini si può uscire illesi.
A quei tempi, la nostra famiglia viveva in una casetta a Ciampino, ma gran parte della loro esistenza si svolgeva presso la loro trattoria “Lo chalet blu”. L’edificio aveva il solo piano terra, un tetto piano e intorno un piccolo cortile. Nonna Maria era una bimbetta allegra che viveva con i suoi due fratelli. Pietro e Fedora.
In quel periodo il mio bisnonno stava realizzando dei lavori edili non meglio precisati, ma certamente gli occorreva della sabbia e del cemento.
La sabbia era stata accatastata in un unico mucchio accanto alla casa.
I bambini avevano la libertà, che i nostri figli oggi si sognano, di vivere la loro infanzia con spensieratezza. Crescevano da soli, perché i loro genitori dovevano lavorare dall’alba al tramonto, sette giorni su sette per poter vivere. Così appena possibile si usciva in cortile o in strada a giocare con un unico gioco di fortuna e con una fantasia che oggi è scomparsa. I compagni di giochi erano i fratelli o i vicini di casa. Tutto poteva diventare un giocattolo. Con i pezzi di stoffa avanzati si costruivano delle bambole, i pezzi di legno diventavano delle spade in mano ai bambini e con le scatole si costruivano delle automobili.
Esistevano le liti, gli amori, le rivalità e le simpatie, ma in pratica tutte le relazioni sociali importanti di un essere umano erano limitate allo spazio che egli era in grado di raggiungere con i suoi soli piedi.
C’erano le lettere ed il telefono certo, ma il mondo dei bambini non li prevedeva. Il loro universo misurava pochi chilometri quadrati e a loro sembrava comunque molto grande.
Quel giorno Pietro e Maria stavano giocando in cortile con alcuni amichetti loro coetanei. Il loro gioco preferito era arrampicarsi sul tetto piano della loro casa e da lì giocare, sognare, chiacchierare, e soprattutto guardare senza essere visti, tutto il loro mondo da una prospettiva privilegiata.
Maria stava pettinando con la fantasia una bambola di pezza e Pietro sfogliava un giornalino di fumetti e ogni tanto tirava sassi sul cortile.
Chissà se ispirato da una scena del suo fumetto o dall’affascinante spettacolo dei sassi che seguendo una traiettoria perfetta, partivano dalle sue mani e arrivavano integri al suolo, ad un tratto a Pietro  venne l’idea: “Se hai coraggio” disse rivolto a Maria “salta giù dal tetto!”
Maria non voleva e non poteva deludere suo fratello. Aveva paura, un atavico spirito di conservazione che con gli anni si sarebbe accresciuto dentro di lei trasformandola in un’adulta, le diceva che quel gioco poteva essere pericoloso, ma non poté comunque dire di no.
Qualcuno andò a chiamare gli altri bambini della zona e così in breve, l’episodio si trasformò in un’avventura eccezionale.
Pietro pensò che se sua sorella fosse stata così folle da accettare la sua sfida, lui  avrebbe dovuto in qualche modo aiutarla. Ormai non ci si poteva più tirare indietro, già un gruppetto di bambini si era assiepato nel cortile in attesa del grande momento e tutti si aspettavano di vedere qualcosa di memorabile. Lui in fondo era orgoglioso di essere l’ideatore dell’impresa e che la sua sorellina ne fosse la protagonista.
Così Pietro portò a Maria un ombrello. Lo consegnò nelle mani incerte della bambina e cercò di fare lo sguardo più rassicurante che poté. “questo sarà il tuo paracadute” le sussurrò e lo aprì per lei. La stimava più che mai in quel momento, le voleva bene. Era orgoglioso e allo stesso tempo preoccupato per quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Maria prese l’ombrello aperto. La paura le faceva tremare le gambe e una morsa le chiudeva lo stomaco. La vista era quasi appannata e non riusciva a distinguere le facce degli spettatori impietriti di quel folle spettacolo che si era organizzato suo malgrado.
Poi si girò verso Pietro, vide il suo sguardo pieno di speranza. Pietro in realtà sperava che sua sorella non si sfracellasse al suolo, ma lei interpretò quello sguardo come una disperata richiesta del fratello di non deluderlo. Così non ci pensò più su, chiuse gli occhi, prese un respiro forte e saltò.
Il volo le parve durare un’eternità. Durante la caduta, tutti i suoi sensi si acuirono. Poteva sentire i respiri affannati degli altri bambini sospendersi mentre lei cadeva, vedeva tutti i colori più intensi e la luce del sole la abbagliava. Dopo una prima fase di salita dovuta alla spinta che lei si diede con i piedi, cominciò la discesa. Quando l’ombrello si riempì di aria e cominciò a fare attrito, Maria era ormai arrivata a toccare terra quindi l’effetto paracadute fu quasi inesistente.
Fu in quel momento che cominciò ad avvenire il miracolo. Le scarpette di pezza di Maria posarono su qualcosa di morbido. Maria assaporò  lentamente la piacevole sensazione di immergersi in un mucchio di farina calda. Sprofondò fino alle ginocchia e una volta arrestato il suo volo si accorse che non si trattava di farina ma di sabbia.
Il mucchio di sabbia che il mio bisnonno aveva fatto depositare proprio in quel punto, l’aveva salvata.
Subito Maria guardò in alto per vedere se il fratello avesse assistito alla scena.
Pietro stava affacciato, si sporgeva dalla terrazza guardando giù con il corpo di traverso, come se fosse pronto a scendere di corsa per andare a prestare soccorso a sua sorella. Quando vide che Maria era uscita illesa da quella incredibile impresa, Pietro si ricompose, gonfiò il petto e parlando a voce più alta di quanto in realtà non servisse le disse:” hai visto? Che ti avevo detto? Non ti sei fatta niente!”
Il sangue riprese a scorrere nelle vene di  Pietro e l’aria riprese a fluire nei polmoni di Maria. Il peggio era passato ma nessuno di loro avrebbe mai più dimenticato quel giorno. Conservarono quel segreto gelosamente. Nessuno di loro ebbe il coraggio di confessarlo ai genitori per paura di essere puniti. Lo tennero per loro e non ne parlarono mai per anni. Solo da grandi riuscirono a riderne fino alle lacrime pensando a quel buffo fagotto che si lanciava da un tetto armato di un ombrello e del fratello terrorizzato che osservava la scena pensando solo di averla combinata troppo grossa.
Se dovessi spiegare a qualcuno cosa sia l’amore fraterno, gli racconterei questa storia.




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